Incontriamo il direttore d’orchestra Frédéric Chaslin a Venezia durante le recite de “Les Contes d’Hoffmann” al Teatro La Fenice. Una bella chiacchierata schietta e sincera.
Venezia, 20 Novembre 2023
Come è iniziata la sua carriera di direttore d’orchestra e quali sono state le sue principali influenze musicali?
Ho iniziato come assistente di Barenboim a Parigi e a Bayreuth, per 3 anni, poi altri 3 anni con Pierre Boulez a Parigi, poi questi hanno facilitato il mio debutto. Sono state anche, ovviamente, le mie due influenze principali. Però, devo anche aggiungere Franco Ferrara, che ho incontrato -come pianista della sua masterclass a Parigi – negli ultimi mesi della sua vita, e anche lui mi ha incoraggiato a dirigere. Questo accadde prima dei miei “anni Barenboim”, come li chiamo io, quindi, quando avevo 20-23 anni.
Quali sono le sfide più grandi che ha affrontato nella sua carriera e come le ha superate?
Il mio debutto alla Staatsoper di Vienna con “I Puritani” senza prova, con Gruberova e Bruson; ero quasi morto di paura prima di entrare in buca, però l’ho superato e sono seguite più di 250 recite in questo teatro. Mi sono dato anche una sfida: dirigere dal pianoforte i due concerti di Ravel, nella prima parte di un concerto. Amo fare grandi sforzi per conquistare un “piano” superiore e crescere poco a poco.
Come si prepara per dirigere un’opera o un concerto? Qual è il suo processo di studio e interpretazione della partitura?
Imparare una partitura è un processo personale e difficile da spiegare. Però direi che prima di tutto, l’analisi della musica è la più importante. Poi, essendo anche un pianista, suono molto il pezzo – o l’opera- per avere un contatto fisico con la musica. E’ un grande aiuto, devo dire. Non immagino di essere un direttore d’orchestra senza essere pianista.
Quali sono le sue preferenze musicali personali e come influenzano le sue scelte di repertorio?
Sono molto affezionato alla musica romantica, e post romantica (tipo Debussy, Respighi, Berg), ma amo moltissimo anche il classico per il rigore che esige. Per questo ammiro molto Riccardo Muti che è un grande maestro del classicismo. Pochi sono capaci di rendere una sinfonia di Schubert o Mozart come lui. Tra altre cose…
Come si rapporta con gli artisti dell’orchestra e come crea un ambiente di collaborazione e ispirazione durante le prove e le esecuzioni?
Soprattutto, l’orchestra ha bisogno di essere sorpresa, cioè deve avere l’impressione di imparare qualcosa di nuovo. Un pezzo nuovo svolge questo “lavoro” automaticamente, ma è più difficile trovare il modo di apportare novità ad un pezzo molto conosciuto. E più grande ancora, quando si tratta un “repertorio che appartiene a loro”, tipo Verdi alla Scala o Mozart a Vienna! Ma c’è sempre qualche modo di affrontare la sfida. In un certo senso, se il direttore ha sviluppato la sua personalità e sensibilità, e le combina con una analisi profonda del pezzo, troverà una via per “sorprendere” i suoi colleghi musicisti.
Come vede l’evoluzione del ruolo del direttore d’orchestra nel panorama musicale contemporaneo?
È sempre indispensabile, ma il problema è divenuto altro. Nel passato -e parlo degli anni ’90, quando ho debuttato – le orchestre avevano una “personalità” molto più grande, nel senso che portavano ancora la forte influenza della “scuola” del paese -per il semplice motivo che i musicisti venivano spesso dalle scuole e con i professori della stessa orchestra. Adesso sono tutti molto internazionali, e molto simili. Dunque il ruolo del direttore sarebbe piuttosto quello, nel caso sia “direttore ospite”, di fare funzionare al meglio l’orchestra che trova, mentre un direttore musicale dovrebbe, secondo me, sviluppare -o ritrovare – lo stile della “scuola nazionale”, anche se questo aggettivo oggi non piace a tutti. Pero è verissimo che quando si ascolta una vecchia registrazione si riconosce la “scuola”. Oggi, per esempio, le orchestre francese non sanno più veramente cos’è suonare Debussy e Ravel in orchestra -se tutti lo sanno individualmente. Suonare insieme -e in grande formazione -vuol dire affidarsi ad una persona esterna -il direttore – per trovare il suono giusto, perché quando sei tra 90, 100, 110 colleghi, non senti più il proprio suono come quando suoni da solo.
Quali sono i consigli che darebbe ai giovani musicisti che desiderano intraprendere una carriera di direttore d’orchestra?
Essere un buon pianista. Studiare il più possibile della musica: armonia, contrappunto, orchestrazione, musica da camera, composizione. Un direttore d’orchestra non sa mai TROPPO. Poi, lavorare anche sull’aspetto umano della direzione: un direttore non può avere successo se non ha il senso del contatto con un gruppo di musicisti. Essere introverso non è un buon segno.
Come si sente quando dirige un’orchestra e come cerca di trasmettere la sua visione musicale al pubblico?
Sono due domande talmente diverse. Come mi sento? Bene! Anzi, è il modo per me di essere il più felice possibile. Non è venuto subito. All’inizio ero torturato dall’ansia di non essere capace. Poi, col tempo, è venuta la felicità. Per trasmettere al pubblico, un direttore deve prima di tutto trasmettere all’orchestra. È l’orchestra che, poi, trasmette al pubblico. È difficile pensare al pubblico quando devi pensare – e soprattutto sentire -come trasmettere il messaggio del compositore all’orchestra -e ai cantanti quando ci sono.
Qual è stata la sua esperienza più memorabile come direttore d’orchestra e perché?
Ce ne sono state tante. Grandi solisti, grande orchestre… Grande opportunità. A volte, si, l’occasione, un concerto in un luogo o per una opportunità unica. L’ultimo di questo tipo è stato il concerto molto breve pero emozionantissimo per i 100 anni di Maria Callas alla Fenice, con il preludio e la morte di Isolde di Wagner, in italiano. Ma anche un piccolo concerto che ho suonato al pianoforte con il grande violinista Nathan Milstein a Parigi, al Conservatorio Rachmaninov, nel 1986… Avevo 18 anni e Milstein oltre 80….
Lei non è solo Direttore d’orchestra ma un musicista a tutto tondo: compositore, pianista e scrittore. Molte sono le sue composizioni di melodie e un omaggio a Gustav Mahler. Ci parla di questi progetti?
Infatti sono stato sempre compositore, scrivevo già quando avevo 6 anni, anche se non conoscevo ancora il solfeggio e scrivevo con disegni. Ne ho tenuti alcuni, ma non so più leggerli! Importante è stato firmare il contratto in esclusiva con la Universal Edition a Vienna, la casa editrice storica di Mahler, Bruckner, fino al mio maestro Boulez. Scrivo sempre, non tengo tutto però non posso passare troppo tempo senza scrivere, o avere un progetto in testa. La voce è primordiale per me. Opere, melodie, sì. Sto scrivendo un “Piccolo Principe” in forma di commedia musicale, e penso già al libretto di un’opera molto più “contemporanea” sul mondo delle “crypto” (intendo: cryptovalute, un mondo futuristico e poco conosciuto dal pubblico, ma uno specchio perfetto del nostro mondo, e dunque un modello ideale per un’opera.
In merito alla sua composizione Tema e variazione sulla Terza Sinfonia di Mahler, lei l’ha definita “una sorta di viaggio nel tempo”. Ci parla di questa composizione? Come nasce?
Mentre dirigevo la Terza di Mahler, sentivo il solo di trombone del primo movimento e ho pensato “questo sarebbe un tema perfetto per una serie di variazioni”. Le variazioni sono l’esercizio perfetto per un compositore. Si impara l’arte di sviluppare, che è al centro del processo della composizione. E per trovare una “storia” da raccontare -sempre questa ossessione operistica – ho pensato di fare un viaggio nella storia di Mahler -e oltre il suo tempo, fine al jazz, pop, rap, etc…
Ritorna alla Fenice di Venezia a dirigere Hoffmann. Opera francese a Lei molto cara. Ha in progetto una edizione critica?
Si, certo, da anni. Ma non posso dire molto perché sono ad un punto “critico” se posso dire, in cui un casa editrice storica per Hoffmann mi propone di collaborare. Ma diciamo che c’è una sfida straordinaria con quest’opera: non si può mai sapere cosa voleva fare Offenbach. ALLA FINE, però si deve proporre il materiale per costruire la sua versione, con o senza l’idea di avvicinarsi al modello originale. È un caso unico nella storia dell’opera. Ho fatto un lavoro simile con la ricostruzione della Sinfonia No.10 di Mahler, con lo stesso motivo: era già stato fatto, ma pensavo di poter farlo meglio! È un po arrogante, lo so, però se nessuno avesse fatto un tentativo prima, non avrei osato toccare né “Les Contes” né la 10a Sinfonia. Ma, siccome ne hanno fatto una versione, che io non ritengo ideale, provo a fare un passo più avanti. Questo è il destino dei “works in progress”.
Quali sono i suoi progetti futuri e quali sono le sue ambizioni come direttore d’orchestra?
Ho tanti progetti “creativi”, sarebbe un pò lungo da raccontare, e poi voglio creare la “sorpresa”. Ma sono tutti legati alla composizione. Ma per esempio, ho iniziato una serie di orchestrazioni per il “Britten ensemble”, voglio dire, proprio come Britten aveva fatto per quattro delle sue opere, ossia la riduzione per 15 strumenti di opere come “Pelléas”, “Carmelites”, e altre opere francese che non si possono fare in piccoli teatri. Adoro Pelléas, e Debussy in generale, e potere portare Pelléas e altre opere in posti dove “non entra”, questa è anche la mia ambizione come direttore d’orchestra. Non sogno, la notte, di essere il direttore stabile di una delle orchestre “top 10”. Per questo ci sono altri tipi di direttori. Sono troppo compositore per questo. Adesso penso che i “miei bambini” -le mie composizioni – hanno bisogno di me anche come direttore. La mia più alta ambizione sarebbe adesso dirigere la mia musica, e portarla a gente che non hanno accesso alla musica, o che non osano avvicinarsi ad un teatro… E sono a mio agio con questa idea, perché sono convinto che sarà stata l’ossessione di tutti compositori.
Allora non ci resta che augurarle di portare a buon fine i suoi progetti e di vederla spesso sul podio dei nostri Teatri.
Salvatore Margarone
Photo credit: Lou Sarda